Quilted Words #4 paying it forward 💞 denti di squalo dalla Florida 🦈 e una nuova, grande avventura insieme
Una storia di solidarietà che parte da San Francisco e finisce in Florida passando da Napoli. E poi, un regalo per te che la leggi fino alla fine.
A febbraio del 2022 mi trovavo a Berkeley in visita alla nonna americana, che non vedevo da prima della pandemia. Quegli anni di forzato isolamento avevano avuto un impatto significativo sulla sua salute, e stavo ancora prendendo le misure di una relazione che era cambiata sotto i miei occhi senza che potessi davvero accorgermene, con un oceano a separarci.
Devi sapere che Katie era un vero spirito libero, con una risata che spaccava i vetri e un senso dell’umorismo incredibile. Una volta, la nonna americana era la prima a propormi avventure improvvisate: un giro a Muir Woods, qualche giorno a Los Angeles, un viaggio in auto lungo la Highway 1. Adesso faticava a riportare alla mente i nomi dei membri della sua “famiglia italiana” che conosce da vent’anni, non ricordava nulla del suo luogo felice sul lago di Como dove per anni ha sognato di comprare casa. Mi raccontava di un incontro che aveva avuto con la mia nonna italiana, senza rendersi conto che me ne aveva già parlato almeno sette volte nel corso della stessa mattina.
È stato un bel colpo da dover assorbire, e proprio per questo fino a oggi non ne avevo mai parlato pubblicamente.
Quelle settimane che ho passato in sua compagnia sono state dolci, luminose, piene d’amore, ma anche molto tese. Non è facile prendersi cura di una persona di 87 anni che sta pian piano perdendo la vista, le energie, i ricordi.
Con lunghi preparativi e una serie di misure d’emergenza, avevo deciso di separarmi da Katie e prendermi un pomeriggio da sola nella mia San Francisco. Volevo accarezzarla di nuovo e rifugiarmici, anche solo per qualche ora. Una passeggiata lungo i moli per salutare il Golden Gate, un’arrampicata su Russian Hill, una sosta all’Ina Coolbrith Park. Erano i luoghi di cui scrivevo anni fa nella prima guida culturale alla città e ancora oggi è quella parte di lei che mi parla di più, nonostante gli stravolgimenti degli ultimi anni.
Mi stavo godendo un clam chowder vicino all’oceano quando iniziano i problemi. Diverse chiamate perse, il telefono continua a illuminarsi. “Ricordi che avrei passato qualche ora a San Francisco?” le chiedo. “Comunque non preoccuparti, sto tornando”. Due minuti dopo, la scena si ripete esattamente uguale. E di nuovo. E di nuovo.
Mi alzo in fretta e furia per pagare perché capisco che la serata in solitaria è finita, ma nessuna delle mie carte funziona. A quel punto vado nel panico: è buio, il telefono continua a squillare, mi manca almeno un’ora e mezza prima di essere a casa, e non riesco a pagare la cena. Spiego alla cameriera che corro fuori dal ristorante per prelevare un po’ di contanti, ma allo sportello bancomat più vicino c’è un uomo in evidente stato di alterazione che continua a gridare e agitare una bottiglia in vetro. Nessun altro attorno. Torno al ristorante, spiego la situazione e prego loro di lasciarmi tornare il giorno dopo per saldare il debito: non ho mai fatto una cosa del genere ma ho bisogno di tornare a casa dalla nonna, che nel frattempo è diventata molto nervosa, e rassicurarla.
A quel punto, succede una cosa che non mi dimenticherò più: arriva la proprietaria del locale, una signora bionda con i capelli raccolti in una crocchia e le unghie lilla. Si riprende il mio scontrino, appoggia lieve la sua mano sulla mia, e mi dice “Don’t worry, your dinner is on us. Just make sure to pay it forward.”
Scusi? Non potevo credere alle mie orecchie.
Mi aveva detto che non dovevo pagare per la cena, se ne sarebbero occupate loro. Ma che dovevo ricordarmi di pay it forward.
“Pay it forward” è un verbo frasale che indica l’opposto di “pay it back”: quando qualcuno fa una buona azione nei tuoi confronti, non devi restituire il favore. Devi invece a tua volta fare qualcosa di buono per qualcun altro, in una ideale catena di “buone azioni sospese” che non viene mai interrotta.
Just make sure to pay it forward.
L’eco di quella frase mi è risuonata dentro per mesi: stavo in attesa, sapendo che il destino mi avrebbe messa nel luogo esatto dove avrei dovuto essere, al momento giusto.
E il momento è arrivato, quasi un anno più tardi.
Tre mesi fa mi trovavo a Napoli con mio marito per festeggiare il Capodanno e visto che era la mia prima volta in città, avevo deciso che dovevo assolutamente mangiare la pizza da Michele (d’altronde ero stata credo tra le prime persone in Italia a leggere “Mangia prega ama” nel lontano anno domini 2008, come ti raccontavo qui, e non avrei certo potuto perdere l’occasione di fare la foto nella stessa posa di Julia Roberts).
Se hai mai provato a mangiare in questa pizzeria, sicuramente saprai che la coda è interminabile. Arriviamo alle 19 e davanti a noi ci sono più di cento persone. Ci accomodiamo allora in un locale lì vicino, in attesa del nostro turno.
Nel locale, sedute al tavolo dietro al nostro ci sono due famiglie dagli Stati Uniti.
Siamo due curiosoni e tra una lettura e l’altra cerchiamo di carpire qualche informazione, mentre periodicamente ci alziamo per controllare dallo schermo della pizzeria quanto manca al nostro turno. Dai loro discorsi capiamo che i due mariti avevano prestato servizio presso una base militare italiana, parlavano qualche parola della nostra lingua e avevano portato la famiglia in vacanza toccando le città che più avevano amato.
Arrivano così le 22, facciamo un’ultima passeggiata e ci mettiamo di nuovo in coda davanti alla pizzeria, con lo stomaco che ormai brontola in tutte le lingue del mondo. Dopo una ventina di minuti, dietro di noi si piazza una delle due famiglie americane il cui turno era vicino al nostro. “Oh, you’re here!” esclama la moglie. “My husband just ran back to call you”: guardiamo in lontananza e vediamo effettivamente il marito che, tutto trafelato, sta correndo di nuovo verso la pizzeria, non avendoci trovati al bar dove si era fiondato per avvisarci che dovevamo metterci in coda.
E lì qualcosa è scattato. Hai presente, no? Quando le tessere del puzzle si sistemano al loro posto e improvvisamente capisci davvero perché sei lì. Tom, così si chiamava, saltellava sul selciato e ci veniva incontro agitando le braccia e gridando “there you are! I couldn’t find you”: in un gesto di altruismo inaspettato, voleva assicurarsi che non perdessimo il nostro turno.
Così, davanti a una margherita fumante all’alba delle 23, dico a mio marito che mi piacerebbe offrire la cena alla tavolata degli americani. Gli ricordo dell’episodio di San Francisco e gli racconto di quella sensazione che mi dice che è arrivato il mio momento di pay it forward.
E così facciamo, con discrezione, risedendoci poi al nostro tavolo. Ma nel momento in cui loro scoprono cos’è successo, inizia la festa grande – in pieno stile statunitense, devo dire.
Le due famiglie non ci possono credere, lasciano mance a destra e a manca, si commuovono, insistono nel fare una foto insieme a noi e a tutto lo staff. Cerco di spiegare loro che non l’abbiamo fatto per far scena o per avere qualcosa in cambio, ma solo perché l’anno prima qualcuno a San Francisco era stato molto gentile con me in un momento di difficoltà. We wanted to pay it forward.
Arriviamo ora a settimana scorsa. Sono a Milano, reduce da tre mesi di stress dovuto a svariate disavventure, alcune lavorative e altre no.
Suona il postino, c’è una busta che proviene dalla Florida.
La busta contiene tre cose. Una lettera scritta a mano da Tom, che ci racconta una cosa che non aveva condiviso quando ci eravamo conosciuti a Napoli tre mesi prima: ovvero che in realtà erano in vacanza lì anche per festeggiare il fatto che sua moglie avesse finito l’ultimo ciclo di chemioterapia per combattere un tumore al seno. La lettera si conclude così:
“Your gesture reminded us of why we love Italy and all of the good things in the world – including many of its people”
Le altre cose le vedete in questa foto: la stampata di due pagine Wikipedia (è così americana questa cosa della stampa, non ve lo so spiegare), una dedicata a Venice in Florida e l’altra su una specie di squalo che viveva in quelle zone nell’epoca del Miocene. Attaccati alle pagine con del nastro adesivo ci sono alcuni fossili di dente di squalo, che a quanto pare si riescono a trovare sulle spiagge di Venice ancora oggi e sono un pregiato oggetto da collezione. Tom li ha raccolti per noi, “a small token from our hometown”.
Così si chiude il cerchio. Di nuovo, in un momento di difficoltà, somebody paid it forward.
Ma la catena del paying it forward non si può fermare, ed eccomi quindi a fare un regalo a mia volta.
Nel corso degli anni, in tantissimi mi avete chiesto “Elena, ma perché non fai…?”.
Ed eccoci qui: *quella cosa che ancora non posso rivelare* sta per arrivare, questa primavera. Sono carica a livelli che non provavo da tempo, e non vedo l’ora di poterne parlare apertamente. Per ora, ti basti sapere che ho creato T**G*** (piccolo spoiler sul nome!) proprio per te se:
Hai uno spiccato senso dell’avventura e ti piace regalarti esperienze singolari e stimolanti
Hai in programma un viaggio negli Stati Uniti questa estate e vuoi avere degli strumenti per apprezzare quello che incontrerai in modo più profondo, così da rendere il tuo viaggio ancora più prezioso
Sai l’inglese benissimo, magari perché ci lavori (lo insegni, lo traduci, fai l’interprete, scrivi di Stati Uniti…) o semplicemente perché ti appassiona
Anche se non sai l’inglese o lo sai poco, T**G*** ti aiuterà a connettere i puntini anche quando pensavi di non essere in grado di farlo perché non capisci bene la lingua
Abiti negli Stati Uniti, perché T**G*** sarà la chiave per sentirti più a tuo agio in un ambiente diverso da quello in cui sei nata/o
Per rimettere in circolo un po’ di gentilezza, ho deciso di regalare un’anteprima in esclusiva alle prime 30 persone che lasceranno qui il loro contatto.
Soltanto loro sapranno prima di chiunque altro:
Come si chiama T**G*** e cos’è
Soltanto loro potranno usufruire di uno sconto del 20% su questa nuova avventura. È uno sconto che non ripeterò più e che voglio venga usato dalle persone che reagiscono con entusiasmo a ogni nuova iniziativa. E siete in tante! ❤️
Solo con queste persone faremo una chiacchierata su Zoom prima dell’uscita ufficiale: un po’ perché non vedo l’ora di propagare il mio entusiasmo, un po’ perché si tratta di una cosa molto innovativa e prevedo ci saranno domande :)
Nella prossima newsletter annuncerò ufficialmente di cosa si tratta. Solo in seguito la notizia sarà pubblicata sul sito e su Instagram.
Se hai voglia, raccontami di qualche gesto gentile che hai ricevuto e di come hai intenzione di paying it forward. A me questa (dis)avventura ha insegnato che voglio pay it forward sempre, tutti i giorni!
A presto,
Elena
Elena ti ringrazio per questo meraviglioso racconto ricco di dolcezza, tenerezza e umanità. Grazie per aver condiviso con noi i tuoi sentimenti e le tue emozioni che sono arrivati direttamente al cuore. Sai una cosa? Mi hai fatto venire voglia di fare una buona azione! Credo che il tuo pay it forward si moltiplicherà grazie alla tua newsletter. Thanks again.... Ale